Capo d'Otranto

Di nuovo.
Siamo sulla lancia di legno di Mario. La prima volta che ci sono salito avevo poco più di dieci anni. Angelo, suo padre, mi ha insegnato tutto quello che so sulla pesca.
Di nuovo quel sogno.

E’ il momento del bolentino. Facevamo sempre così: dopo un’ora abbondante di traina ci fermavamo al largo della punta di Palacia, dove l’Adriatico diventa Ionio. Innescavamo le canne, mangiavamo pucce con le olive e formaggio bevendo vino rosso.

 Mi sveglio, fortunatamente. Questa volta evito di fare tutto il sogno per intero, forse.
Mario, il più classico dei migliori amici: compagni di classe, cresciuti nella stessa strada, tutti e due juventini di ferro. Penso che dai sei ai sedici anni saremmo stati senza vederci solo nel periodo estivo. A quei tempi non si facevano vacanze ma si passava la villeggiatura. L’estate al mare durava almeno due mesi e mezzo. I suoi, originari di Gallipoli, andavano sullo Ionio, i miei, leccesi veraci, si erano costruiti una casetta a Torre dell’Orso sull’Adriatico. Separati solo dal mare, dicevamo scherzando.
Dai sedici anni in poi, anche le vacanze abbiamo trascorso insieme, prima girando l’Europa con l’interrail, poi scoprendo la Grecia dell’Egeo, l’unico mare comune. Quasi sempre con altri amici e a volte con amiche o quasi fidanzate.
Nel mentre, l’università a Bologna, l’avventura più pericolosa. Come quella volta che mezzo ubriaco iniziai una discussione con degli studenti baresi di estrema destra.  Non mi ricordo più se l’oggetto del contendere fosse la politica, una stupida disputa di campanile o tutte e due. Ricordo solo che in breve si passò alle vie di fatto e se non ci fosse stato anche lui quando quello più grosso aveva tirato fuori un coltello a serramanico, adesso non sarei a rigirarmi nel mio comodo letto.
Porca puttana, non devo addormentarmi pensando a lui, altrimenti il sogno riprenderà.
Pensa al lavoro, mi dico. Pensa al Procuratore capo che ti sta rompendo le scatole sull’incidente nel cantiere di quel suo amico e alle pressioni, neanche tanto velate, che ti sta facendo.
Ma non funziona, il pensiero va dove vuole lui: a quando ero ancora uditore giudiziario e arrivò al palazzo di giustizia la notizia che il figlio dell’Avvocato Angelo Peruzzi, anche lui promettente avvocato, si era schiantato con la macchina contro un palo della Lecce-Maglie alle 10 del mattino. Pare fosse completamente ubriaco.
Mi riaddormento e torno sulla barca a vedere il faro di Otranto a largo della punta di Palacia dove non saprai mai se è ancora Adriatico o già Ionio. Dove non riesci a capire se è presente o passato, sogno o realtà.
Comincio a sudare.

Spara la bordata all’improvviso.  “Sono sicuro che Simona abbia un altro”. Mi sento gelare. Bevo un sorso di vino. Non so che dire. Lui sposta il viso dal mare verso di me e mi guarda. Il suo sguardo è prima interrogativo poi disperato.
Con Simona era cambiato tutto. Non avevamo certo smesso di vederci, ma non esisteva più il noi che veniva prima di tutto, anche delle ragazze. Ce n’erano state diverse e qualcuna, specie in vacanza, l’avevamo anche equamente divisa. Ora Simona era il centro del suo mondo. Lo vedevo troppo felice per essere geloso e Simona era fantastica, proprio come diceva lui.
Per fortuna qualcosa abbocca alla mia canna, deve essere grosso perché tira come un dannato. Non siamo più in barca, stiamo pescando dal balcone della casa dei miei genitori. E il mare è il cortile dove io e Mario abbiamo passato infiniti pomeriggi a giocare. E la cosa ci sembra normale. Lui è tornato a sorridere. Quando riavvolgo la lenza, attaccato all’amo, c’è solo un foglio di giornale con la notizia dell’incidente, più pesante di qualsiasi preda. E lui non c’è più.
Di nuovo mi sveglio, zuppo di sudore
Mia moglie dorme tranquilla accanto a me. Mi alzo più piano che posso, ma non è abbastanza.
“Arturo… Tutto bene?”.
“Si, amore, vado in bagno”.
Sulla soglia della porta, mi giro a guardarla. Dio, com’è bella.
A Simona non ho mai detto nulla. E la notizia del tasso alcolemico non era mai trapelata, tanto nessun altro si era fatto male. Lei non aveva mai saputo che lui sapeva. Pensa che sia stato solo un incidente.
In bagno mi sciacquo la faccia, mi cambio il pigiama. Piango, perché io sono sicuro che non sia stato un incidente. Lui l’ha fatto apposta.
In cucina mi verso quattro dita di Ron. Fuori è tutto buio sono le tre del mattino, in strada non circola nessuno. Non voglio tornare a letto, ho troppa paura di trovare Mario. Che mi aspetta. Ma non vorrei neanche che mia moglie mi trovasse qui a bere, guardando il nulla che c’è fuori.
“Alla prima auto che passa torno a dormire”, ma mentre formulo il patto con me stesso, un SUV blu di qualche fighetto con i soldi passa sotto casa.
“Alla prima macchina rossa”, riaggiusto immediatamente l’accordo. Sono un giudice e cambio le leggi come mi pare.
Alla terza auto rossa e al secondo bicchiere di ron mi decido a riaffrontare il letto.
L’alcool fa il suo dovere e mi addormento di un sonno senza sogni, finalmente.
Mi sveglio un attimo prima che mia figlia, Giulia, di cinque anni, salti sul letto.
“Mamma, Papà. Bisogna alzarsi. Dobbiamo andare allo Zoo-Safari”.
Oh già. Oggi è il giorno fatidico. Giulia si prepara a questa gita da almeno un mese.
“Ma Giulia, a quest'ora le giraffe stanno ancora dormendo” dice mia moglie “rimaniamo un altro po’ a letto tutti e tre insieme”.
“Va bbeeene. Ma che facciamo?"
E' troppo eccitata per starsene calma e tranquilla e regalarci, magari, una mezzoretta di dormiveglia.
"Allora facciamo il gioco della verità. Papà raccontami di quando tu e mamma vi siete conosciuti.”.
“Dai babbino raccontami. Ti sei innamorato subito della mamma?”.
“Si, appena l’ho vista”.
Simona mi guarda e sorride.
Io mi sento un ladro. Un maledetto ladro. Felice, almeno da sveglio.

Nessun commento:

Posta un commento